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Ricordo di Paolo VI, grande amico di padre Aristide

Trentacinque anni, il 6 agosto 1978, nella residenza estiva di Castel Gandolfo, moriva Papa Paolo VI. Giovanni Battista Montini era nato a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897. Prete dal 1920, dopo un lungo periodo alla Segreteria di Stato in Vaticano, era stato nominato Arcivescovo di Milano nel 1954. Diventato Cardinale nel 1958, nel 1963 era stato eletto Papa, succedendo a Giovanni XXIII. Proprio da Papa Roncalli aveva raccolto la pesante eredità del Concilio Vaticano II, che era in pieno svolgimento e che egli aveva saputo portare a compimento. È Venerabile dal 20 dicembre 2012, quando Benedetto XVI ne ha riconosciuto le virtù eroiche.
Tra Paolo VI e monsignor Aristide Pirovano ci fu un lungo e intenso rapporto di amicizia e affetto. Fu proprio monsignor Montini, da poco Arcivescovo di Milano, a presiedere la consacrazione episcopale di padre Aristide, il 13 novembre 1955 a Erba (nella foto sopra). «È un grande giorno per questa terra – disse nella sua omelia -, che vede uno dei suoi figli sublimato a questo ministero e curvato sotto questa croce. Sembra che un riconoscimento venga alla fede, alla virtù di questo paese e che in lui siano riconosciuti tutti i sentimenti e tutte le virtù che questo popolo cristiano ama, pratica e professa». E così lo salutò: «Lieti che il nostro ministero lo renda a noi fratello nell’Episcopato, pregando Cristo Signore di colmare per lui le nostre mani dei suoi doni migliori, come l’arduo lavoro missionario del primo Prelato Nullius di Macapà e Vescovo titolare di Adriani, delle più ricche conquiste al regno di Dio».
I due si incontrarono spesso nelle sessioni del Concilio, alle quali partecipava anche padre Aristide. In una di queste occasioni, nei primi mesi del 1963 Pirovano si recò in visita dal Cardinale, al quale manifestò l’esigenza di un aeroplano per potersi muovere velocemente da una località all’altra in Brasile. «Quanto le serve per acquistarlo?», chiese Montini. «Circa cinque milioni». «Ora non li ho. Mi impegno a trovarglieli, ma lei mi deve promettere di non pilotarlo: è più facile trovare un altro aereo che un altro vescovo…». Qualche mese dopo una lettera di don Pasquale Macchi, segretario dell’Arcivescovo, confermò la disponibilità della somma. L’aereo – un Cessna a sei posti – venne acquistato negli Stati Uniti e arrivò in Brasile nel settembre del 1963. Nel frattempo Montini era divenuto Papa. Monsignor Pirovano gli scrisse per ringraziarlo e chiedergli il permesso di intitolare l’apparecchio a suo nome. Gli fu risposto che il Pontefice ringraziava per il pensiero, ma preferiva che l’aereo prendesse il nome di San Paolo. E così fu.
La stima di Paolo VI per padre Aristide si evidenziò in particolare quando quest’ultimo venne eletto Superiore generale del Pontificio Istituto Missioni Estere. «L’abbiamo lasciato venir via dalla sua diocesi con molto dolore – disse il Pontefice ai membri del Capitolo del Pime, ricevuti in udienza particolare -. Voi ce l’avete portato via, ma ne avevate il diritto… Monsignor Pirovano è molto attivo e porterà dinamismo nell’Istituto». Qualche mese dopo Pirovano accompagnò Marcello Candia in visita da Paolo VI, che benedì il missionario laico prima della sua partenza per Macapà.
Nel 1965, nel decimo anniversario di consacrazione episcopale e nell’imminenza del venticinquesimo di ordinazione sacerdotale di padre Aristide, «al benemerito presule», Paolo VI invocò «copiose grazie celesti per i ricchi frutti di santificazione e apostolato». Durante le frequenti udienze, concesse sempre in un clima di grande cordialità, il Papa rinfacciava bonariamente padre Aristide di non andarlo a trovare più spesso. Solitamente monsignor Pirovano si schermiva («Santità, con tutti i suoi impegni…»), ma una volta si lasciò andare a una battuta («Ma lei, poverocristo, non ha neppure il tempo di respirare…»), che strappò un sorriso al Pontefice.
Convinto assertore del metodo del dialogo nel governo della Chiesa – in sintonia con la prima enciclica di Paolo VI, Ecclesiam Suam -, monsignor Pirovano sostenne il Santo Padre soprattutto in occasione della pubblicazione della Humanae Vitae (1968), oggetto di critiche anche da parte dei giovani preti e dei seminaristi. Punto fermo di padre Aristide era la totale disponibilità del Pime alla volontà del Papa. Da Superiore comprendeva le difficoltà del Pontefice nell’immane compito di governare la Chiesa e, anche in virtù dell’affetto filiale che provava per Paolo VI, non tollerava le polemiche contro di lui, giudicandole «corrosive e negative» e ritenendo invece necessaria un’obbedienza senza riserbo, «totale e devota, sincera e fattiva».

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