Rendo volentieri testimonianza delle circostanze provvidenziali all’origine della presenza dell’Opera Don Calabria a Marituba: un’esperienza vissuta intensamente, un momento profetico in cui la Provvidenza divina, attraverso la persona di Dom Aristide Pirovano, ha reso possibile questa presenza.
Sono un Fratello della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza -Opera Don Calabria. Nel febbraio del 1987, da poco più di un anno ero rientrato in Italia dal Brasile, dove avevo vissuto una bella e intensa esperienza missionaria, prima in una favela nella periferia di Porto Alegre e poi nella direzione dell’Ospedale calabriano Sacro Cuore di Gesù ad Anaurilandia, nel Mato Grosso. Il nostro Superiore generale dell’epoca, don Pietro Cunegatti, mi chiese di tornare in Brasile per verificare la possibilità che la nostra Congregazione, già da molti anni presente lì, potesse aprire nuove attività, anche sanitarie e ospedaliere, nelle zone più povere del Nord/Nord-Est. Fui molto grato per la proposta, dato che in Brasile avevo lasciato un bel po’ del mio cuore.
Mi recai dapprima a São Luis, nel Maranhão, e poi a Macapà, capitale dello Stato amazzonico dell’Amapà. Lì visitai con grande interesse l’Ospedale San Camillo, voluto e costruito dal dottor Marcello Candia per i poveri e in particolare per l’assistenza e cura ai lebbrosi, ancora molti in quella regione, e da lui donato ai Camilliani. Nell’Ospedale erano attive due volontarie, da me conosciute, che facevano esperienza nel campo delle malattie tropicali: la dottoressa Maria Chiara Grigolini (pediatra, che poi diventerà Suora e Madre generale delle Povere Serve della Divina Provvidenza) e Daniela Zardini (infermiera proveniente dall’Ospedale calabriano di Negrar).
Nel mio viaggio di ritorno da Macapà, in compagnia di Daniela, feci tappa all’aeroporto di Belem, capitale del Parà. Qui, però, una prima sorpresa: si erano perse tutte le altre prenotazioni per tornare in Italia. Mentre pensavo al da farsi, notai un gruppo di persone in circolo attorno a un “personaggio” che le intratteneva: barba e capelli bianchi, un crocifisso al collo, l’aspetto ieratico, sorridente e gioioso, una parlata mista italiana e brianzola. Fu il mio primo incontro con Dom Aristide Pirovano.
Mi unii al suo gruppo, che attendeva l’arrivo dall’Italia di sua sorella Carla e di altri amici, diretti a Marituba. In un’ora di attesa ci scambiammo reciproche conoscenze ed esperienze, con riferimento a trascorsi missionari che già avevano avvicinato l’Opera Don Calabria ai missionari del Pime. Ma la cosa più bella e non programmata fu l’invito che Dom Aristide mi fece a rimanere nel gruppo e visitare Marituba, di cui fino ad allora avevo solo sentito parlare, in particolare per il viaggio di Giovanni Paolo II nel 1980. Il mio programma di viaggio era saltato e quindi ero libero di accettare.
Mi fermai alcuni giorni per conoscere quella realtà. Visitai il Lebbrosario, allora ancora abitato da molti hanseniani rimasti nei loro padiglioni malgrado fosse stata posta fine alla loro segregazione. Constatare le loro condizioni di vita ebbe su di me un impatto struggente: intuii il significato dell’opera di Marcello Candia prima e di Dom Aristide poi, con la sua Comunità del Pime, le suore e i volontari, e i servizi sociali, sanitari, educativi e pastorali avviati, e allo stesso tempo la necessità di dare dignità e qualità di vita ai più poveri e disagiati.
Non perdevo d’occhio Dom Aristide e il suo modo di porsi con quelle persone: era davvero uno di loro. E poi volevo ascoltarlo, cercando di stare con lui in un orario sgombro dai suoi mille impegni a disposizione degli hanseniani. Così trovai il tempo per dialogare con lui a tarda sera, nel silenzio della Casa di preghiera della missione: ci sedevamo da soli sotto il porticato, davanti a un muro su cui è ancora appeso un grande Cristo senza croce, mentre Dom Aristide fumava la sua sigaretta.
Gli aprii il cuore, spiegandogli i motivi del mio viaggio in Brasile. Dom Aristide mi fece una panoramica dei suoi sogni e di quanto aveva in animo per la sua amata gente di Marituba, alle prese con malnutrizione, case fatiscenti, fognature a cielo aperto: un ospedale per la salute, educazione, formazione professionale, lavoro, un centro dermatologico per diagnosi precoce e cura della lebbra, un centro di riabilitazione e inserimento sociale e lavorativo degli hanseniani… Il tutto in un’ottica di pastorale evangelica: «Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la Sua Giustizia».
La Colonia di Marituba ormai stava assumendo le dimensioni di una città e Dom Aristide mi parlava dell’urgenza di contare su forze nuove, per sviluppare e coordinare le diverse attività già intraprese. Io mi dilungai nel dirgli che la mia Congregazione era favorevole a espandere la propria presenza nel Nord del Brasile, anche aprendo nuove attività: il momento era favorevole, perché in Brasile i Poveri Servi potevano disporre di un buon numero di giovani religiosi autoctoni.
A questo punto Dom Aristide mi interruppe, mi rivolse uno sguardo luminoso e dando una botta energica al tavolo mi disse: «Ho capito, la tua Congregazione deve venire qui a Marituba! È questo il vostro posto!». E proseguì: «Torna in Italia e di’ ai tuoi capi che il vostro posto è qui; se non c’è l’Ospedale, lo si farà; se non c’è la scuola professionale, la faremo; ci penserà la Provvidenza. Di’ loro anche che a giugno di quest’anno verrò in Italia e andrò a visitarli a Verona per concordare tutto».
Nel 1991, quando io ero l’Economo generale della Congregazione e Dom Aristide aveva lasciato Marituba da pochi mesi, un giorno mi chiamò per vedermi nella sede del Pime a Milano: «Dobbiamo parlare di denaro». La sua schiettezza brianzola non mi sorprese. Così, con spigliatezza e affabile paternità, mi disse: «Durante la mia missione a Marituba, ho ricevuto molte donazioni. Ho fatto i conti di quanto è rimasto, tutto è depositato e al sicuro. Ora lo devo trasferire alla Congregazione perché lo utilizzi a beneficio dei poveri e delle opere da realizzare e mantenere».
Preso atto di tutto, recuperai un foglio e gli dissi: «Facciamo un piccolo verbale fra noi per registrare questa sua disposizione». Lui mi guardò con paterna tenerezza e, sorridendo forse con un po’ di compassione, mi rispose: «Menino (figlio), io non faccio e non firmo nessun verbalino, ciò che sto donando non mi appartiene, sto solo adempiendo a un mio obbligo in nome e per conto dei veri proprietari di questo denaro, cioè i poveri, a cui è destinato per il loro bene. Alla Congregazione ricordo solo che questo denaro, come non è mai appartenuto a me, non apparterrà neanche a loro, ma deve continuare ad appartenere ai poveri di Marituba, secondo la volontà di chi ha donato. La Congregazione dovrà ricordarsi di spenderlo bene, e non dovrà rendere conto a me, ma… (e in silenzio guardò verso il cielo, puntando in alto l’indice destro). Se non li spendete bene è a Lui che dovrete rendere conto…».
Porto ancora nel cuore l’intima e profonda commozione di quel momento. Devo anche dire che la cifra di cui parliamo non era piccola… E quel denaro ora è nelle opere che erano nei sogni di Dom Aristide, realizzate a beneficio degli ultimi della fila: l’Ospedale Divina Provvidenza, il Centro dermatologico Marcello Candia, l’Abrigo Giovanni Paolo II per hanseniani, il Centro di formazione professionale Dom Aristide Pirovano, nuove scuole di base e medie, la Fazendinha per attività agricole, la Casa per disabili a Belem, Cappelle e saloni ristrutturati per le attività pastorali…
In quell’incontro Dom Aristide mi confidò inoltre un suo pensiero sulle onorificenze che riceveva nelle molte occasioni in cui era invitato a dare testimonianza della sua vita e della sua missione: medaglie, gagliardetti, pergamene, cittadinanze onorarie… Lui ringraziava, ma precisava che quegli omaggi servivano a poco a lui e meno ancora ai poveri, mentre era più utile mettere insieme qualche soldino per loro. Non titoli onorifici, ma opere di carità volte agli ultimi nel mondo.
di fratel Giuseppe BRUNELLI
22-05-2025
Tutte le testimonianze:
Maggio: «Monsignor Pirovano ci affidò Marituba e mi disse: “I conti li farete con il Signore”»
Aprile: Cresimato e sposato da padre Aristide: «Sapeva leggerti nell’anima»
Marzo: Il «dottore missionario»: «Padre Aristide mi insegnò a guardare verso il cielo»
Febbraio: L’amico sindaco: «Padre Aristide, meriti di essere Santo»
Gennaio: «L’ingegnera» di Marituba: «Dom Aristides per me è stato un grande dono di Dio»