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Monsignor Volonté: «In padre Aristide la letizia del vero missionario»


In occasione del 25mo anniversario della morte di monsignor Aristide Pirovano, pubblichiamo una testimonianza sulla sua figura di monsignor Willy Volontè, Canonico del Capitolo della Cattedrale di San Lorenzo a Lugano, Delegato vescovile per la pastorale familiare e Rettore del Collegio diocesano Pio XII Lugano


Avevo solamente dodici anni quando incontrai per la prima volta il Vescovo Aristide Pirovano. Frequentavo la seconda ginnasio nel Seminario minore della Diocesi di Milano, a San Pietro martire di Seveso. Monsignor Pirovano era stato da poco ordinato Vescovo (1955), credo il primo ordinato dall’allora monsignor Montini, pure lui un novizio come Arcivescovo di Milano.

Lo ricordo come fosse ora, quando monsignor Pirovano passò assieme al Rettore del Seminario, classe per classe, a salutare noi, piccoli seminaristi. Aveva una gran barba, nerissima, e due occhi brillanti accompagnavano un sorriso indimenticabile.

Fu da quell’incontro che nacque in me un’affezione grande per il Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere), che aveva la sua sede in via Monte Rosa, nei pressi del mio quartiere di Milano, poco distante dallo stadio di San Siro. Dal Seminario teologico del Pime ogni domenica i giovani teologi, che si preparavano a diventare preti, partivano per recarsi negli oratori delle parrocchie vicine all’Istituto. Per un dodicenne recettivo, una persona significativa che gli sta davanti incide nella sua immaginazione in modo inspiegabile. Infatti la dimensione missionaria in me ha il marchio di fabbrica dei giovani studenti teologi del Pime.

Da quel momento non rividi più il vescovo missionario Aristide, ma la sua persona si impresse in me segnata da quel tono di letizia che contraddistingue il vero missionario. L’emozione di quell’incontro non si estinse mai in me. E come il fuoco sotto la cenere aspettava solamente che quell’incontro iniziale venisse ripreso, quando la Divina Provvidenza avrebbe voluto. Tenevo vivo l’attesa di quell’istante recandomi a piedi da casa mia al Pime. Mi bastava entrare e sedermi sulle panchine del grande cortile e già respirare l’aria di Paesi lontani, dove lavoravano i missionari per portare il Vangelo.

Poi il Pime mi divenne ancor più familiare, quando il movimento di Comunione e Liberazione ebbe il suo Centro operativo nei locali di via Monte Rosa. In seguito nella sede del Pime insegnai teologia, quando l’Università Cattolica di Milano affittò dei locali per le sue Facoltà. Sempre lì ebbi la fortuna di conoscere padre Giacomo Girardi (pure lui già incontrato da piccolo seminarista nel Seminario minore di Seveso.) e con lui padre Piero Gheddo, due grandi figure: solo a guardarli trovavi la passione per la missionarietà.

Intanto, dietro l’angolo della mia vita, la figura mai dimenticata di monsignor Pirovano aspettava il turno per essere ripresa. L’occasione venne quando una famiglia importante si trasferì per lavoro in Svizzera, a Lugano, dove io ero giovane prete. Mi dissero in un incontro che erano legati da grande amicizia con un vescovo missionario, tale Aristide Pirovano. Si riaccese in me un desiderio grande di poterlo di nuovo incontrare, dopo averlo custodito per tanti anni nell’archivio della mia memoria. Una gioia immensa fu quando potei abbracciarlo finalmente come un padre da sempre pensato e desiderato. Fu subito uno scoppiettio di discorsi, di opere, di iniziative, di colloqui che balzavano della sua mente creativa, abituata a realizzare concretamente delle opere missionarie. «Ti affido questa famiglia, mi disse, come se fosse la mia». Seguii il suo consiglio e così nuovamente cominciammo a frequentarci.

Invitai padre Aristide sul Monte Tamaro, poco lontano da Lugano, a parlare a un centinaio di giovani in una bellissima giornata di giugno. Con l’approvazione del vescovo di Lugano, monsignor Corecco, invitammo il Pime a prendersi cura dell’azione missionaria in Diocesi, con il consenso di padre Girardi, allora Superiore, e il sostegno di padre Gheddo. Insomma, le amicizie comuni si stringevano in una fitta rete operativa.

Incontrare il Vescovo Aristide fu sempre per me una immensa gioia. Nei nostri dialoghi a Lugano condividevamo opinioni e valutazioni sulla vita della Chiesa ed eravamo in perfetta sintonia. Aveva lo stesso sentire umano e ecclesiale di un comune grande amico e maestro, don Luigi Giussani. Monsignor Pirovano stimava Comunione e Liberazione, tanto che al termine degli anni Cinquanta con don Giussani ritornò in Brasile per preparare la missione di CL in quella terra lontana. Monsignor Pirovano, monsignor Giussani, Marcello Candia, padre Girardi e padre Gheddo costituirono un sodalizio di appassionati di Cristo e della sua Chiesa. Erano tempi da sogno, perché erano tempi missionari, dove l’ansia di portare il Vangelo era palpabile.

Così, con questi sentimenti filiali da parte mia continuò l’amicizia con padre Aristide fino alla fine della sua vita. Sul mio tavolo di lavoro una sua foto, sempre sorridente, mi guarda e mi incoraggia. «Va avanti così!» mi diceva spesso e me lo dice ancora adesso.

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